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recensioni/reviews

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Libreria Volare recensisce Come della rosa

Review of Come della Rosa by Cristina Lombardi- Diop per 

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Presentation of Come della rosa with writers Jhumpa Lahiri and Teresa FIore at Casa Italiana Zerilli Merimo', in NY, on September 29. 2017

 

La rubrica dei libri sul "Venerdì di Repubblica"-  Brunella Schisa interviews Tiziana Rinaldi Castro 

dire fare baciare- brunella schisa lugli
articolo repubblica campania- 12 agosto

Review of Come della rosa by Pierluigi Razzano  for "La Repubblica"

Review of Come della rosa by Teresa Fiore, in 

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Dire, fare, baciare -sconfinamenti-  "La Macondo dell'anima"

Review of Come della rosa by Giovanna Pavesi for "La voce di New York"

Loredana  Lipperini interviews Tiziana Rinaldi Castro at

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"Autori in libreria" di Eledina Lorenzon

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“il manifesto" del 03 Gennaio 2002

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"Il lungo ritorno" di Tiziana Rinaldi Castro

 

GIORGIO MARIANI

 

Nel suo romanzo d'esordio Il lungo ritorno (Edizioni e/o)

Tiziana Rinaldi Castro -italiana trapiantata negli Stati Uniti dove, dopo aver stud antropologia, insegna ora studi religiosi all'Università del Colorado- dimostra un notevole coraggio. L'autrice è difatti perfettamente consapevole dei rischi cui inevitabilmente si espone chi decide di ambientare una gran parte della propria narrativa in un ambiente così tradizionalmente mitologizzato, idealizzato, e dunque spesso travisato, come quello degli indiani d'America: nel suo caso l'odierna riserva Apache di San Carlos, nello stato dell'Arizona.

Forte però della sua esperienza autobiografica, e cosciente che la sola alternativa alla fagocitazione di una cultura, da un lato, e all'ingenua pretesa di mistica fusione con essa, dall'altro, sta nella ricerca di momenti di parziale sovrapposizione tra il proprio universo simbolico-culturale e quello altrui, Rinaldi Castro riesce a darci del mondo indiano di cui parla una rappresentazione sfaccettata e complessa, al  riparo dagli stereotipi "pro"- e "anti"- indiani. Il romanzo si apre con una scena che ha luogo proprio sulla riserva, per poi procedere con piglio sicuro verso luoghi e momenti che seguono e precedono quel momento: tra i molti "ritorni" cui fa cenno il titolo si deve sicuramente includere questo procedere a spirale della narrazione, che disegna così un percorso omologo a quel "lungo ritorno" verso se stessa che la protagonista deve compiere per ritrovarsi. Pietra -questo il nome della narratrice-protagonista- è dunque tanto un soggetto in transito, che si muove tra il nativo mediterraneo (ilCilento e la Grecia), New York e la riserva, quanto, come suggerisce il suo nome, una figura dotata di una sua rocciosa solidità, una staticità che è consapevolezza delle proprie radici e mai semplice immobilismo.

Pietra vive, lotta e soffre per capire gli altri e se stessa, percorrendo la stretta via che intercorre tra la soggettività nomade e schizoide del postmoderno e la soffocante fissità delle tradizioni -siano esse mediterranee o indianoamericane. Sottraendosi alla rigidità della famiglia d'origine, e poi a quella della relazione newyorchese con Lou, il primo marito, Pietra prosegue il suo percorso iniziatico tra gli Apache del nuovo compagno Carlos Kaytennae, arrivando però a una piena maturazione solo dopo aver perso tanto Carlos, quanto Lou.Solo quando, dunque, sopraffatta da un "dolore impronunciabile" che sembra annientarla e la costringe "aguardare ogni cosa senza afferrarne il senso", trova la forza per riconciliarsi con un sé che non è più semplicemente individuale, ma merita di essere celebrato nella sua pluralità. Solo allora può brindare a se stessa: "Pietra Irene Snake Woman Mattia Martinson Kaytennae è salva". Il romanzo, tanto nella struttura quanto nel linguaggio, evita qualsiasi semplicistica contrapposizione tra mondo indiano e mondo bianco. Certo, è tra gli Apache che Pietra diviene, dopo un rito di passaggio dal sapore "magico" come quello del morso del serpente, una "Snake Woman", una donna di medicina, ma i poteri medianici e le capacità visionarie sono parte della vita di Pietra sin da bambina.

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Il mondo indiano, dunque, più che una dimensione Altra da penetrare o una sfera spirituale nella quale annullarsi, è il contesto nel quale far emerga quella parte di sé che non riesce a venire completamente fuori e ad essere pienamente accettata nei mondi sociali e immaginari nei quali Pietra dimora in precedenza.

Non solo per l'ambientazione indiana, ma ancor di più per  l'andamento circolare della narrativa, per il grande rilievo che in essa assume una realtà visionaria, e soprattutto per i modi in cui questa dimensione visionaria si coniuga con le esperienze materiali della protagonista, Il lungo ritorno è forse più affine a molti romanzi indianoamericani contemporanei che ai modelli della narrativa italiana attualmente in circolazione.Lo stesso titolo ha qualcosa di "indiano". Come scrive difatti Sara Antonelli nel suo recentissimo e brillante resoconto de La cultura USA contemporanea (Carocci, 2001), non va dimenticato come, "sullo sfondo vastissimo del romanzo americano, il romanzo indianoamericano costituisca un canone autonomo. Diversamente da quanto accade in opere come Huckleberry Finn e Moby Dick, infatti, i romanzi indianoamericani si sviluppano attorno a protagonisti per i quali la ricerca del sé non procede dall'allontanamento da casa, bensì da un ritorno a casa, ovvero non dal rifiuto, ma del recupero dell'identità tribale cui si appartiene o si è appartenuti".

Al termine del suo cammino naturalmente Pietra non trova una identità "tribale", ma è certamente significativo che la narrazione termini con il suo ritorno a casa, quasi a suggerire che è comunque con una "tribù" mediterranea che deve riconciliarsi, e che, come del resto accade anche in molti romanzi indianoamericani, tale riconciliazione non è mai totale o priva di contraddizioni. I complessi e travagliati rapporti di Pietra con la sua  famiglia, e in particolare con la madre e il padre, sono in questo senso un segnale rivelatore di come neppure una "donna-medicina" come Pietra possa aspirare a una "guarigione completa. Forse è per questo che in una intervista con Cinzia Fiori sul Corriere della Sera, l'autrice si dichiara incerta se attribuire al suo romanzo lo status di "racconto medicina". "Il racconto medicina è il racconto che cura, quello che diventa medicina per chi ne ha bisogno. E' la narrazione che rimette sulla giusta direzione. Per gli indiani è anche, naturalmente, il racconto che restituisce le origini, ricordando gli avi, la terra con i cari sotto, sepolti, che è parte di loro in un unico cerchio. Non ho scritto intenzionalmente un romanzo medicina. Ma forse lo è per chi fa fatica a ritornare a sé".

O forse, più radicalmente, mentre il racconto tribale evoca una dimensione trascendentale, una casa mitica, cui fare ritorno, nell'universo del romanzo -anche di un romanzo medicina- la sola pietra angolare su cui ricostruire la propria casa non può che essere una Pietra immanente di carne e sangue.

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" Il Manifesto, January 3rd 2002

The crossing between native culture and Mediterranean culture in the novel “The Long Return” by Tiziana Rinaldi Castro.

GIORGIO MARIANI –

 

In her novel Il lungo ritorno (Edizioni e/o, pp.250), Tiziana Rinaldi Castro –an Italian transplanted in the United States where, after studying Anthropology, teaches now at the University of Colorado- shows a noteworthy courage. The author is, in fact, perfectly aware of the risks she is inevitably taking when deciding to set a large part of the story in an ambient so traditionally mythologized and idealized, and therefore misunderstood, as the American Indian world: in her case, the Apache reservation of San Carlos, in the State of Arizona. Sure, however, of her autobiographical experience, and conscious that the only alternative to the consummation of a culture as well as to the ingenuous pretense of a mystical fusion with it, is the search of moments of partial juxtaposition of her own symbolic-cultural universe with the other’s, Rinaldi Castro succeeds in giving us a multiform and complex representation of the Indian world, protected by the ‘pro’ and ‘anti’ Indian stereotypes. The novel first scene is set in the reservation, from which it surely proceeds towards places and moments that follow and precede that moment: among the many returns in the book-as the title suggests-, we need to include the narration’s spiral movement, drawing up in this manner a path homologous to that ‘long return’ towards herself that the protagonist has to make in order to find herself.

Pietra (Stone)- this is the name of the narrating protagonist- is therefore both a subject in transit, moving between the native Mediterranean (Cilento and Greece), New York and the reservation, as well as a figure gifted with a rocky solidity- as the name suggests- a stillness with an awareness, however, of her own roots and never mere immobility. Pietra lives, fights and suffers to understand herself and the others, moving along the narrow road that runs between the nomadic and schizophrenic post modernism and the immobility of traditions- whether Mediterranean or American Indian. Stealing herself away from the rigidity of her original family and then from her New York based relationship with her first husband Lou, Pietra proceeds her initiation path among the Apache people of her new partner Carlos Kaytennae, getting to a full maturity only after losing both Carlos and Lou. Only when, thus, overwhelmed by an “unspeakable pain” that seems to annihilate her and forces her “to look at all things without grasping the sense”, she finds the strength to reconcile with a self that isn’t any longer simply individual, and deserves to be celebrated in her plurality. Only then she can toast to herself: “Pietra Irene Snake Woman Mattia Martinson Kaytennae is saved".

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The novel, both in its structure as in the language, avoids any simplistic contraposition between the white world and the Indian world. Of course it is among the Apache that Pietra becomes, after a ‘magical’ rite of passage- the bite of a snake-, a “Snake Woman”, a medicine woman, but the psychic powers and her visionary abilities are part of Pietra’s life since she was a little child. The Indian world, therefore, more than a dimension of alterity to penetrate, or a spiritual sphere in which to lose her identity, is the context in which she is able to express that part of herself never allowed to emerge and never fully accepted in the social and imaginary worlds in which Pietra has lived before. Not only for the Indian ambiance, but especially due to the circular manner of the narration, for the great value given to the visionary reality, and above all for the ways in which this visionary dimension conjugates with the material experiences of the protagonist, The Long Return is maybe closer to many American Indian novels than to the models of Italian narration of today. The title itself has something ‘Indian’ about it. As Sara Antonelli writes in her recent and brilliant report of “The Contemporary USA culture” (Carocci, 2001) we need not to forget how “on the very large background of the American novel, the American Indian novel constitutes an autonomous canon. Differently from what happens in novels such as Huckleberry Finn e Moby Dick, in fact, the American Indian novels develop around protagonists for whom the search of the self, proceeds not from the going away from home, but, on the contrary, from returning home, in other words not from the rejection, but the recuperation of a tribal identity to which one belongs or has belonged”. Naturally, at the end of her path, Pietra does not find a ‘tribal’ identity, but it is certainly relevant that the novel ends with her return home, almost suggesting that it is any way with the Mediterranean “tribe” that she must reconcile, and that, as it often happens with many American Indian novels, such reconciliation is never total and never without contradictions.

The complex and troubled relationships Pietra has with her family, particularly with her father and mother, are, in this sense, revealing signs of how not even a “medicine woman” like Pietra can aspire to a complete ‘healing’. It is maybe for this reason that, in an interview with Cinzia Fiori on “Il Corriere della Sera”, the author states her uncertainty about assigning to her novel the status of ‘medicine tale’. “Medicine tale is that tale that heals, the tale that becomes medicine for those who need it. It is the narration that returns the listener on the right path. For the American Indians it’s also, of course, the tale that gives them back their origins by remembering the ancestors, their land with their beloved buried underneath, who are part of them in an only circle. I did not set to write a medicine tale intentionally. Maybe it can become one, though, for those who struggle to return to themselves”. Or maybe, more radically, while the tribal tale evokes a transcendental dimension, a mythical home, to which one goes back, in the universe of the novel- even a medicine novel- the only corner stone on which to rebuild one’s own house cannot be but an immanent Stone (Pietra) of flesh and blood.

 

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www.diario.it 
      

     Il Lungo Ritorno di Tiziana Rinaldi Castro e/o 

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Lungo viaggio dal Cilento alle terre degli Apache

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      di Massimo Onofri

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      L'incontro tra la studentessa italiana e la professoressa indiana d'America si consuma nella facoltà di etnomusicologia: «Durante il lunch mi disse di chiamarsi Ohitika Win e di appartenere alla nazione dei Lakota e, come a frenare il mio slancio, precisò che le barriere del pregiudizio a volte hanno risvolti positivi: se abbatterle serve ad aprire un dialogo fra razze e culture diverse può anche succedere, quando cadono, che si verifichi una perdità di identità. Ribattei che la perdita di identità non è frutto dell'apertura ma della violenza, e se gli indiani d'America avevano perduto la loro cultura lo si doveva al fatto che gli era stata imposta con lo sterminio quella dei bianchi. Il suo rotondo viso color terracotta si aprì a un sorriso e disse affettuosa: "Pietra, io non parlavo della mia gente, ma di te". Ecco, se dovessi indicare il fuoco di questo romanzo, quello che può metterne a punto l'intera visione e determinarne la sintassi, non avrei incertezze sul passo da scegliere: perché è proprio in quest'istante, nel primo incontro tra le due donne, che il libro guadagna il suo luogo più vero, quello del supremo fraintendimento. Solo a patto che, con il termine di fraintendimento, si identifichi subito una disposizione antropologica al dialogo e, insieme, si sottolineino tutte le implicazioni di tradimento che ogni traduzione comporta, soprattutto quando quella traduzione mette in giuoco sistemi di valori radicalmente diversi, universi culturali lontanissimi. Non vi è alcun dubbio sul fatto che quello di Tiziana Rinaldi Castro sia un romanzo di formazione che, per altro, comincia con una numerosa famiglia del Sud d'Italia, il magistico Cilento: una madre, Antigone, bellissima e assente, di origini cretesi; un padre, Ludovico Mattia, eccessivamente protettivo; due sorelle e un fratello, tra cui spicca Davide, adorato dalla madre, ma affetto da disturbi psichici gravi (difficoltà a distinguere odori e suoni, dislessia radicale, mancanza di senso del tempo e dello spazio, insensibilità al dolore fisico), con cui la complice e gemella Pietra condivide una singolare attitudine percettiva, quella d'associare sempre una persona a un colore. Infine la protagonista, Pietra appunto, affetta da una fastidiosissima forma d'asma, e dotata di strani poteri medianici, eternamente in bilico tra i sensi di colpa nei confronti del padre e il rancore verso la madre. Così come dubbi non ve ne stanno sul fatto che questo processo di perdita e ritrovamento del Sé- più nel segno di Jung che di Freud- condizioni profondamente la logica della narrazione, che si avvale di una repentina alternanza tra passato remoto, passato prossimo e presente in vista del trionfo di un tempo sempre interiore: per un viaggio che, dal Cilento, porterà Pietra a New York e nell'Arizona degli Apache, divisa tra due amori entrambi perduti, per approdare, tra gli indiani, a un condizione di medicine woman, e cioè di guaritrice. Resta comunque fondamentale che il valore aggiunto del Lungo ritorno sia appunto antropologico: e risieda in questa singolare capacità di fare del relativismo culturale una chiave anche sentimentale dell'esistenza. Intendiamoci: non è che questo libro non presenti ingenuità, a cominciare da certi giuochetti, che si vorrebbero invece di malizia estrema, come l'incontro con un personaggio che è il proprio doppio («la storia di una ragazza del Cilento che va a New York per amore e poi finisce a Harlem dove diventa una santera»). Eppure, non si può non sottolinearne la notevole vitalità, la folta e felice consistenza di eventi: e l'incrollabile fede per un'idea di romanzo di assoluta trasparenza esistenziale, che sappia essere, insomma, tutt'uno con la vita."

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